martedì 23 dicembre 2014

Natale: è nato Gesù



Natale: è nato Gesù

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Natale: è nato Gesù


Su  tre  schermi  video  in strada nei giorni intorno a Natale appare a intervalli la scritta “Natale: è nato Gesù” firmata da Caritas Ticino. All’uscita dell’autostrada a Para- diso, o appena fuori dalla galleria del Vedeggio a Lugano e nel Cen- tro Commerciale di Grancia, dove normalmente facciamo promozio- ne per i nostri negozi CATISHOP. CH di Pregassona e Giubiasco, oppure per i container degli abiti sparsi da un anno in tutto il can- tone. Ma a Natale abbiamo volu- to usare questi spazi pubblicitari con una  frase  fondamentale  per il mondo cristiano e per tutta la cultura cristiana: a Natale è nato Gesù, per i credenti è il Salvatore venuto a salvarci, e per tutti gli altri è il portatore di un pensiero rivo- luzionario di pace, di uguaglianza e di valorizzazione delle risorse umane. Con uno stile che potreb- be ricordare alcuni predicatori te- levisivi americani, abbiamo deciso di contribuire all’affermazione che il Natale fa memoria della nascita di Gesù Cristo e questo può es- sere gridato ai quattro venti senza per questo offendere nessuno, ma semplicemente ricordando che nella nostra cultura europea cri- stiana quel fatto non deve essere nascosto indipendentemente dal credo religioso di ciascuno.  Chi ha l’onestà intellettuale per rico- noscere i diversi valori che ogni cultura ha sviluppato come punti di riferimento  nell’articolarsi della storia, sa riconoscere i valori de- gli altri riscoprendo e rispettando profondamente i propri: mi aveva colpito la testimonianza di una mamma musulmana che manda- va i figli alla scuola cattolica perché lì si rispettava di più l’esperienza religiosa rispetto alla scuola pub- blica. I cataloghi delle strenne na- talizie - ho sfogliato attentamente quello della Migros che per altro ha un ottimo giornale, l’Azione, attento  alle  espressioni  culturali - sono l’esempio lampante della cura con  cui  si  nascondono  tut- ti i riferimenti al fatto storico della nascita di Cristo, terrorizzati di es- sere accusati di non rispettare le espressioni religiose diverse, non capendo che si sta facendo un torto a tutti misconoscendo fatti che hanno segnato una cultura. Superficialità e derive ideologiche sono  gli  elementi   determinanti di questo Natale privato del suo senso unico e originale, ostentato come “finalmente aperto a tutti” quando si sta invece insultando tutti indistintamente, ritenendoli incapaci di cogliere i valori di ogni cultura nella diversità dei percorsi storici. La fede qui non  c’entra, ma lo sgomento dovrebbe mani- festarsi unanimemente di fronte alla riduzione ignorante e stupida di elementi interessanti per tutte le espressioni culturali o religiose che abbiano maturato una capacità di dialogo e di scambio. Di fronte all’efferatezza dei fondamentalismi deliranti a cui assistiamo quotidia- namente, con sofferenze indicibili per intere popolazioni, gruppi o comunità, la miglior risposta do- vrebbe essere quella della valoriz- zazione del dialogo senza perdita di  identità,  anzi  sottolineando  le espressioni della diversità come opportunità per costruire modelli di convivenza e di percorsi cultu- rali ricchi per tut- ti. Non una tiepi- da teorizzazione della tolleranza intesa come per- dita della propria identità, ma una af fermazione della diversità della storia e del- la cultura di po- polazioni  diver- se considerata come  occasio- ne interessan- tissima su cui fondare società nuove dove vive- re pacificamen- te migliorando continuamente.
Per questo a tutti quelli che ci costringono a un Natale solo con ren- ne, Babbi Natale, impro- babili angioletti musicisti, e magari qualche zucca dimenticata da Hallo- ween, con serenità con- trapponiamo decisi: “A Natale è nato Gesù”.

lunedì 1 dicembre 2014

NO A ECOPOP: NON ABBASSARE LA GUARDIA

NO A ECOPOP: NON ABBASSARE LA GUARDIA

Abbiamo sfiorato un'altra figuraccia col mondo ma ci è andata bene, siamo stati graziati: Ecopop è stata spazzata via dai 2/3 degli elettori svizzeri e da tutti i cantoni. Persino il Ticino, fanalino di coda, ce l'ha fatta.
Ma la battaglia non è finita , non solo perché gli iniziativisti, forti di quel terzo che li ha appoggiati, probabilmente ci riproveranno, ma piuttosto perché il pensiero malsano che sta dietro a questa iniziativa può aver presa su una maggioranza distratta che non concede troppo tempo e fatica per l'approfondimento.
Il no secco infatti non è purtroppo il segnale chiaro che sconfessa le due idee balorde dell'iniziativa ma un chiaro no alle conseguenze economiche che questa iniziativa avrebbe portato. Sono evidentemente contento che comunque sia andata così ma so che il tarlo della sovrapopolazione mondiale e dell'inquinamento correlato con l'analogia elvetica dell'invasione, sono presenti. Per leggerezza e mancanza di approfondimento più che per stupidità come verrebbe da pensare.
Apparentemente si è dibattuto quasi esclusivamente sul tema della sovrapopolazione straniera in CH e solo in secondo piano il secondo livello della vicenda, quello dei poveri del mondo che aumentano sempre, inquinano e ci insidiano con la loro esistenza. Anche le testate estere, fortunatamente per noi, non hanno colto né commentato questo secondo aspetto fondamentale dell'iniziativa. Ma è proprio il pensiero ammalato relativo a questa visione planetaria che è il vero pericolo. La questione della limitazione degli stranieri in CH che riappare periodicamente, è contingente ai vari momenti storici, alle paure ed emozioni passeggere, insomma un tema politico importante che può variare molto e contro cui si può lottare ogni volta che emerge, magari perdendo clamorosamente come il 9 febbraio quando il pathos diventa l'unica anima della democrazia diretta. Ma fortunatamente non è sempre così e non è un tema così pericoloso sulla distanza, come invece l'idea che a inquinare siano i poveri troppo numerosi al mondo; la cosiddetta bomba demografica paventata e cavalcata da molti anche se sconfessata da tutti gli studi seri.
Per questo non bisogna abbassare la guardia e chi ha voglia di pensare e ha strumenti per diffondere un pensiero sano, continui a farlo con entusiasmo senza gettare mai la spugna. Don't give up!

Vi ripropongo qui due riflessioni di Giovanni Pellegri e Fulvio Pezzati che abbiamo raccolte in video e sulla nostra rivista n.3 2014.

Buona lettura e buona visione
Roby Noris, direttore di Caritas Ticino

pag.22/23 di Caritas Ticino n.3 2014

Due video su youtube
 

https://www.youtube.com/watch?v=-Yl9ze_DRHM

giovedì 17 luglio 2014

CIÒ CHE CONTA È IL PENSIERO

CIÒ CHE CONTA È IL PENSIERO
di Roby Noris

In età di pensionamento ci si chiede cosa sia la sintesi di quello che conta e che si può considerare come il proprio personale arricchimento. Non ho nessun dubbio, ciò che sintetizza i miei anni di attività sul fronte della socialità e della comunicazione è la profonda convinzione che “ciò che conta è il pensiero”. Non è una affermazione riservata agli idealisti, ai rivoluzionari e ai martiri, ma è il rendersi visibile di ciò che è essenziale, autentico e non deperibile, e nessuno può portartelo via. Per chi vive la sua professione sul fronte del confronto quotidiano, con progetti concreti, con milioni da gestire bene, sembra incredibile che non sia soprattutto l’azione e i risultati concreti a contare davvero. Eppure è così. La ricchezza straordinaria, tutta mia, ma nello stesso tempo condivisa con i miei collaboratori e con molti amici, reali e virtuali, è quella sintesi che ho simbolizzato, nell’ultimo editoriale diquesta rivista, col triangolo C,Y,Z (Corecco, Yunus, Zamagni) che collega facendole interagire, alcune espressioni geniali della lettura di alcuni nodi centrali della nostra epoca riguardo all’individuo e alla collettività globalizzata: nessuno è definito dal suo bisogno (Corecco), tutti sono potenziali soggetti economici produttivi (Yunus) e ci sono risorse per tutti, il deficit è nelle istituzioni (Zamagni).

Una visione poco condivisa in area sociale e persino cattolica, per non parlare poi della sinistra politica. Il piagnisteo pauperistico è stravincente, perché gratificante, perché permette ai “sociali” e ai politici di sentirsi utili e persino indispensabili, fa credere che ci siano sempre soluzioni a corto termine. La cronicizzazione conseguente dei mali e dei guai, non sempre è visibile e quand’anche lo diventa si accampano scuse di tutti i generi per evitare di ammettere che l’assistenzialismo è un male peggiore della povertà perché fa danni senza possibilità di uscirne. Invece responsabilizzare gli altri non considerandoli vittime dell’ineluttabile (o dei cattivi), ma come portatori di risorse e di dignità da esprimere in una assunzione di responsabilità, è molto difficile perché rispettare questa precisa libertà dell’altro significa spesso essere impotenti e dover assistere al disastro insopportabile della persona sofferente che ha scelto di andare a fondo. E lasciarglielo fare perché solo così si apre una possibilità di realizzare un progetto a lunga scadenza che solo quella persona (e non noi) può decidere di iniziare a realizzare. Noi siamo ridotti solo a strumenti di sostegno ma mai protagonisti delle scelte determinanti per la svolta della vita delle persone? Esattamente, ma spesso è insopportabile. E poi armonizzare questa convinzione riguardo alle risorse dell’individuo, con lo sguardo su un mondo globalizzato che chiede una continua attenzione alle sfide politiche riguardo agli squilibri fra i pochi che hanno tutto e i tanti che non hanno nulla. Ma la speranza sta nel pensiero sano, nella capacità di analizzare i diversi piani senza fare confusione. La lucidità di un pensiero che informa l’azione e non i pasticci alla rovescia sbandierati come pragmatismo.

È solo su questa ricchezza di visione della realtà, della storia, dell’evoluzione degli esseri umani che si può riporre quel barlume di speranza per uno sviluppo praticabile fondato su modelli economico-politico-sociali capaci di dare un senso all’esistenza del singolo come della collettività planetaria.
 

 


mercoledì 9 aprile 2014

POVERTÀ IN CH: ESCLUSIONE SOCIALE E INCERTEZZA PER IL FUTURO

POVERTÀ IN CH: ESCLUSIONE SOCIALE E INCERTEZZA PER IL FUTURO

 

 Pubblicato sul CdT del 7.4.2014 col titolo "POVERTÀ TRA ESCUSIONE E INCERTEZZA"

Caritas Ticino da almeno vent’anni dice “no” alle banche alimentari, alle mense per i poveri, e a tutte le forme di distribuzione di beni secondo una logica assistenzialista. È una scelta impopolare maturata sulla base di esperienze dirette con migliaia di persone e riflettendo sui diversi modelli di intervento sociale.

Ma c’è la povertà in Svizzera? Sì, certamente, la povertà esiste anche nei paesi più avanzati e ricchi. anzi più il sistema di protezione sociale è sofisticato e più è difficile fare scomparire completamente la povertà relativa. In Svizzera questa non si manifesta con quelle connotazioni tradizionali di scarsità dei beni primari, ma ha due caratteristiche predominanti: l’esclusione sociale, cioè la perdita del diritto di cittadinanza, e l’incertezza per il proprio futuro in un mondo in profonda trasformazione, dove ad esempio scompaiono molte forme di lavoro mentre se ne creano di nuove. Una risposta assistenzialista è manifestamente inefficace.

Uno dei nostri punti di riferimento, Stefano Zamagni, economista, stretto collaboratore di papa Benedetto XVI nella stesura dell’enciclica “Caritas in veritate”, afferma che dal secolo scorso non c’è più scarsità di risorse nel mondo e la povertà è dovuta a un deficit di gestione delle istituzioni. Ma anche su scala ridotta, pensare in termini di penuria è sbagliato. Le risorse ci sono, a maggior ragione nelle società avanzate e ricche come la Svizzera, dove il minimo vitale è garantito a tutti, nonostante diverse disfunzioni. Non condivido di conseguenza l’immagine della persona indigente ritenuta sprovvista di risorse, vittima impotente e incapace di diventare protagonista della sua ripresa.

Abbiamo riletto con grande interesse il pensiero di Muhammad Yunus, premio Nobel per la pace, promotore del microcredito e del social business, riassumendolo così: nessuno può uscire dalla povertà se non diventa soggetto economico produttivo. Mi ha sempre colpito il fatto che la sua dinamica imprenditoriale, fondata sulla fiducia verso donne povere e emarginate, abbia funzionato in Bangladesh, uno dei paesi più poveri del mondo, mentre noi, in uno dei più ricchi, adottiamo quasi senza obiezioni un modello assistenzialista alla ricerca costante di risorse da distribuire.  

Ma tutte le forme di distribuzione di beni sotto il cappello ideologico assistenzialista, in Svizzera sono un freno se non un impedimento alla possibilità di affrancarsi dall’indigenza, perché rinforzano la convinzione crudele che i poveri “non ce la faranno mai”.

Si arriva persino al paradosso di alcune forme di distribuzione di beni, le più anacronistiche, che creano i bisogni a cui vorrebbero rispondere; talune favoriscono in Ticino un inutile turismo sociale transfrontaliero che non aiuta nessuno. Ma d’altra parte considerata la complessità del disagio sociale, in un clima assistenziale, facilmente le persone, senza alcuna colpa, si abituano a diventare degli esperti fruitori di tutte le risorse sociali disponibili; quindi ogni azione filantropica è salutata con benevolenza e giunge rapidamente a saturazione.

Il fatto che chi opera e promuove queste forme di solidarietà, spesso sia animato da buoni sentimenti e dia una lodevole testimonianza di accoglienza dei poveri, purtroppo non corregge l’errore metodologico relativo all’efficacia degli strumenti utilizzati. La filantropia è sbagliata anche se il filantropo di regola è davvero una brava persona.

A Caritas Ticino il pensiero sociale si è modificato profondamente grazie al vescovo Eugenio Corecco che in occasione del 50esimo dell’organizzazione diocesana, nel 1992, affermò che “è limitante guardare all'uomo e valutarlo a partire dal suo bisogno, poiché l'uomo è di più del suo bisogno”, che significa concretamente guardare le persone che vivono una difficoltà, talvolta grave, prima di tutto come portatrici di risorse e non come marchiate dalle proprie difficoltà. In questa prospettiva l’intervento sociale serve prima di tutto ad aiutarle a scoprire di essere in grado di risalire la china.
Roby Noris.
 

 

giovedì 20 marzo 2014

CORECCO, YUNUS, ZAMAGNI


CORECCO, YUNUS, ZAMAGNI


CORECCO, YUNUS, ZAMAGNI



L’idea centrale di tutta l’impostazione del nostro impegno socio-caritativo, fondata sul concetto di risorsa e non su quello ben più diffuso e osannato di penuria, lo ritroviamo in numerosi interventi e commenti che girano intorno ad un triangolo di saggi che ci hanno permesso di capire e approfondire questo nodo fondamentale per tutto il nostro lavoro sociale: il vescovo Corecco, il Nobel per la pace Yunus e l’economista Zamagni. Il vescovo Eugenio Corecco ha segnato la nostra svolta spazzando via l’idea che il bisogno definisca una persona, Mohammad Yunus ci ha convinto che tutti hanno il potenziale per diventare soggetti economici produttivi e Stefano Zamagni ci ha garantito che le risorse ci sono, il deficit è nelle istituzioni, insomma ce n’è per tutti. Tre personaggi che ci hanno regalato un pensiero sano, che ci aiuta ogni giorno a coniugare carità evangelica e prassi economico/sociale negli incontri quotidiani con chi è messo da parte e ci chiede perché. È tutto su youtube, disponibile 24/24.
(dall'editoriale della prossima rivista Caritas Ticino di aprile)

Roby Noris